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La sfida di un’economia circolare, dove l’industria deve vendere servizi invece di oggetti

Traghettare un paese verso la transizione ecologica, come? La ricetta di Gaël Giraud

di Chiara Brivio | pubblicato: 17/02/2021
«Abbiamo bisogno di un ministero, ma abbiamo bisogno anche di un governo che voglia veramente portare avanti la transizione ecologica»
Gaël Giraud
Traghettare un paese verso la transizione ecologica, come? La ricetta di Gaël Giraud
«Abbiamo bisogno di un ministero, ma abbiamo bisogno anche di un governo che voglia veramente portare avanti la transizione ecologica»
Gaël Giraud

«Un grande piano per la ricostruzione ecologica dell’Italia è l’unica possibilità di sopravvivenza politica per Mario Draghi, diversamente se opterà per l’austerità, come la Troika finirà per chiedergli, credo che seguirà lo stesso destino di Mario Monti». Così Gaël Giraud, gesuita francese, ex banchiere, oggi direttore del Programma per la giustizia ambientale della Georgetown University a Washington, intervenuto a un incontro sulla transizione ecologica organizzato da diverse associazioni e media cattolici.

«In una situazione di deflazione, l’austerità è il rimedio peggiore del male» ha poi aggiunto, sottolineando che il nuovo presidente del consiglio e il suo governo incaricato dovranno per forza mettere al centro dell’agenda politica i temi legati all’ecologia e alla trasformazione economica in chiave green.

Giraud, che in passato è stato anche chief economist dell’Agenzia francese di sviluppo, nel 2015 aveva dedicato proprio al tema della transizione ecologica un saggio dall’omonimo titolo, pubblicato dalla casa editrice Emi, che oggi risulta più che mai attuale. Non una novità forse per il mondo cattolico, per il quale i temi green sono da tempo al centro dell’agenda sociale e religiosa, basti pensare al profondo impatto che ha avuto, anche sul mondo laico, l’enciclica Laudato si' di papa Francesco. La novità è tuttavia che un ex banchiere sia diventato gesuita, e che da lì abbia poi ricoperto un importante incarico governativo.

Quattro i punti cardine sui quali si fonda la teoria del sacerdote, il quale si rivolge direttamente al nostro Paese: «sostituire le fonti di energia rinnovabili agli idrocarburi fossili, per ridurre le emissioni di CO2; rinnovare termicamente tutti gli edifici per renderli energicamente neutri o positivi; garantire la mobilità verde in Italia specialmente attraverso il trasporto ferroviario di passeggeri e di merci; inventare l’agro-ecologia, e soprattutto l’industria low tech, l’industria verde di domani».

Se la riqualificazione degli edifici – in Italia, per esempio, con i tanti incentivi statali, in primis quello del Superbonus 110% – e la mobilità verde sembrano essere gli obiettivi più facili e più concreti, l’ultimo punto è quello però più difficile da implementare, perché «presuppone un’economia circolare, dove l’industria deve vendere servizi invece di oggetti. Un’industria verde che deve andare oltre l’immaginario della miniaturizzazione e dell’elettronica – continua – perché queste piccole meraviglie (i nostri smartphone), difficilmente possono essere riciclati». Spazio quindi a un «mondo diverso» dove ci siano oggetti facili da riciclare e riparare e dove tutto dovrà essere rimesso in circolo. «Una quarta rivoluzione industriale», la chiama l’economista, che su questo punto non si distanzia molto dalle istanze contenute nel Nuovo Bauhaus europeo lanciato da Ursula Vor der Layen, in nome di un nuovo design che non produca più oggetti usa-e-getta, ma fatti con materiali di riciclo, smontabili, che abbiano un “diritto alla riparazione”, secondo la definizione data dalla curatrice e docente all’Ecal di Losanna Anniina Koivu, intervenuta in un recente dibattito alla Triennale di Milano. E nel discorso del gesuita, c’è spazio anche per il progetto, parla di «un’architettura degli edifici con energia positiva, un’architettura e urbanistica di piccole città, con trasporto pubblico, con un po’ di agricoltura, e poi si aggiunga la mobilità su ferro. Questo sarà un cambio radicale nella prospettiva dell’urbanistica e dell’architettura».

Per questo avremo bisogno di tecnologie molto avanzate e a bassa intensità che richiederanno maggiore manodopera. Una «tecnologia della sobrietà» che potrà creare più posti di lavoro quindi, e «non delocalizzabili» ci tiene a sottolineare Giraud, ma che presumibilmente richiederanno competenze e una formazione adeguata.

Obiettivi molto ambiziosi, che richiederanno però ingenti investimenti visto che i costi sono stimati in decine di miliardi di euro all’anno, e che da soli i privati non potranno mai sostenere. E di questo il gesuita è perfettamente consapevole. «Il privato non può assorbire il conto della transizione – dice – il primo passo sarebbe quindi quello di introdurre una carbon tax sulle importazioni italiane, simile a quella raccomandata dalla commissione Stern-Stiglitz, alla quale ho contribuito (commissione di economisti formatasi nel 2016 e guidata dal premio Nobel Joseph Stiglitz e dall’ex capo economista della Banca Mondiale Nicholas Stern ndr), di almeno 100 euro per tonnellata nel 2030 o, molto rapidamente, di 300 euro per tonnellata» sottolinea. Ma anche questo non sarà sufficiente, «bisognerà creare una carbon tax europea per finanziare questo green new deal» aggiunge ancora, chiamando la Bce a una chiara discesa in campo. Bce che, per permettere ai singoli stati membri di mettere sul piatto questi ingenti investimenti, dovrà necessariamente cancellarne il debito dai suoi bilanci, oltre che sostenere le banche nella dismissione delle passività legate al finanziamento dei combustibili fossili.

Invece, sulla possibilità che i fondi del Next Generation Eu possano realmente finanziare la transizione, Giraud è scettico. «Il Next Generation Eu è molto ambivalente – dice – perché la Commissione europea crede nella crescita verde. Ma non ha capito che la crescita verde è impossibile. Ci vuole un green deal per fare quello che abbiamo detto: mobilità verde, rinnovamento termico degli edifici, e l’agro-ecologia». Più che una «crescita», secondo Giraud è necessario un vero cambio di paradigma, anche a livello politico e culturale, con una drastica riduzione dalle dipendenze sia dalle fonti fossili che, per esempio, dalla cultura estrattivista, che ogni anno causa ingenti danni ambientali nei paesi del sud del mondo dove vengono estratti i metalli, per esempio, ancora una volta, per i nostri gadget tecnologici.

Ma servirà quindi, in Italia, aver creato un ministero ad hoc per la transizione ecologica, che vede al suo vertice il tecnico Roberto Cingolani? Giraud di nuovo non è convinto e porta ad esempio l’esperienza d’Oltralpe in questo senso. «L’esperienza francese di un ministro della transizione ecologica, a mio parere, non è stata solo negativa. Per esempio, nel 2015 questo ministero ha approvato un’importante legge di transizione che, se fosse attuata correttamente, darebbe i suoi frutti. Ma quello che succede è che l’attuale governo francese non sta attuando i suoi stessi impegni». «Abbiamo bisogno di un ministero – chiosa infine –, ma abbiamo bisogno anche di un governo che voglia veramente portare avanti la transizione ecologica».

Immagine di copertina: Gaël Giraud ©Alain Goulard pour l'Agence Française de Développement

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Tag: culto; cultura; energia
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