Iniziativa culturale promossa dalla rivista L’Industria delle Costruzioni dell’Ance

Rigenerazione urbana? Il punto con i past-curator dei padiglioni Italia alla Biennale

di Francesco Fantera | pubblicato: 31/05/2019
Rigenerazione urbana? Il punto con i past-curator dei padiglioni Italia alla Biennale

«Il settore dell’edilizia oggi non va verso l’espansione del costruito, ma verso la sua trasformazione». Con queste parole il Presidente dell’ANCE, Gabriele Buia, ha aperto il convegno organizzato dalla rivista "L'Industria delle Costruzioni" con l’Ordine degli Architetti di Roma presso la sede centrale dall’associazione. Un tema attuale che è stato sviluppato assieme ai curatori dei Padiglioni Italia delle ultime Biennali di Architettura: Luca Molinari (2010), Luca Zevi (2012), Cino Zucchi (2014) e TAMassociati (2016). Assente Mario Cucinella, curatore dell’ultimo Padiglione nel 2018. Diverse chiavi di lettura per altrettanti professionisti che hanno così fornito visioni eterogenee sulla falsariga del proprio bagaglio culturale e professionale. Dalla ricerca proposta da Molinari rispetto a nuovi punti di vista per inquadrare la complessità dei fenomeni di mutamento del costruito, alle quattro stagioni dell’architettura individuate da Zevi, per arrivare agli innesti suggeriti Zucchi come elementi capaci di interpretare e incorporare gli stati (e gli strati) urbani, fino alla progettazione partecipata per il bene comune proposta dallo studio veneziano.

Ma qual è il modello da seguire in questo processo di ammodernamento delle nostre città? «A tutti piace l’insediamento storico – ha raccontato Cino Zucchi (CZA), – perché le sue forme sono così conosciute che rappresentano quasi una seconda natura. I centri urbani moderni, invece, sono più estesi e garantiscono un alto livello di servizi. Ma hanno un difetto: ci sono sempre delle zone, simili a “buchi neri”, veri e propri elementi scollegati dal resto del tessuto costruito. Da qualche tempo si sta sviluppando una nuova sensibilità nei progettisti e nelle committenze, che vede proprio nella restituzione di queste zone alla comunità il proprio scopo principale. In questo senso va visto il progetto con il quale, come CZA, abbiamo vinto il concorso ad inviti promosso dalla Lavazza a Torino. Obiettivo – ha sottolineato Zucchi –  quello di restituire alla città una vecchia centrale elettrica in disuso, dopo averla trasformata in un centro direzionale e in un polo culturale aperto alla cittadinanza. Il tutto, con attenzione a considerare e rispettare il contesto urbano del quartiere nel quale siamo intervenuti».

Una questione importante, questa, in particolar modo quando si interviene in contesti periferici e difficili. «A noi piace la definizione di progetti chirurgici in relazione a quelle iniziative che si sviluppano in aree marginali – ha commentato Raul Pantaleo, uno dei fondatori di TAMassociati –. Questo perché sono interventi che devono avere obiettivi chiari e tempi ristretti. Il budget, poi, è un elemento chiaramente importante. Ma il fatto che spesso sia ridotto, non ne preclude l’efficacia. Un esempio? Fra i nostri ultimi progetti ce n’è uno realizzato a Napoli, nel quartiere Ponticelli, area con una forte presenza di criminalità. Un elemento che, nonostante l’operazione fosse di dimensioni ridotte, ha reso evidente quella che può essere la funzione sociale della rigenerazione urbana. Un piccolo edificio quindi, la cui riqualificazione ha dato vita ad un presidio di cultura in un contesto molto complicato».

Il tema del rinnovamento del costruito risulta centrale anche per la sua capacità di avviare o supportare processi dal forte valore sociale in grado di favorire, in una sorta di rapporto win-win, la ripresa del settore dell’edilizia. «La sfida – ha evidenziato il Vice Presidente dell’IN/ARCH Luca Zevi – è quella di fare della rigenerazione del territorio urbano italiano il grande business del terzo millennio. Se si guarda a come hanno reagito le imprese alla crisi economica ci si accorge di un dato. Quelle che ne sono uscite meglio hanno puntato sull’innovazione e la qualità del prodotto, con l’architettura che ha rivestito un ruolo fondamentale di sviluppo. Esempio calzante è rappresentato dal progetto realizzato da CZA per la Lavazza».

Non sempre, però, professionisti e imprenditori hanno generato soluzioni in grado di rispondere alle nuove necessità. «La stessa parola città – ha ribadito Luca Molinari, professore di architettura presso l’università campana “Luigi Vanvitelli”, – potrebbe non essere più adatta, dopo millenni, a spiegare cos’è un agglomerato urbano moderno. L’architettura, inoltre, spesso non è in grado di dare risposte alle nuove dinamiche ed ai nuovi temi sociali. Per farlo, non è raro che si vada a guardare a modelli che funzionano all’estero ma che stanno producendo un conformismo dilagante. Io credo che ci siano alcune parole chiave per uscire da questo trend: radicalità gentile (sostenibilità), pensiero critico, ripensamento dei luoghi e coraggio, da parte di imprenditori e amministrazioni pubbliche, di avere una visione della rigenerazione urbana come driver di crescita culturale e miglioramento della comunità».

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Tag: città; cultura; spazi pubblici; trasporti; uffici
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