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Biennale 2014 / Intervista a Alaistar Donald, il project manager che ha guidato la macchina per il British Council

I tempi, i costi, le strategie e la squadra. Tutti i dettagli della gestione del padiglione britannico

di Paola Pierotti | pubblicato: 16/06/2014
"Il British Council è in regia e si occupa della selezionare del curatore, ma quest’ultimo deve restare estraneo all’aspetto economico. Il curatore viene chiamato per mettere in campo la sua intelligenza artistica e architettonica, esclusivamente per sviluppare il tema. Spetta al British Council il management e la produzione della mostra"
Alastair Donald
I tempi, i costi, le strategie e la squadra. Tutti i dettagli della gestione del padiglione britannico
"Il British Council è in regia e si occupa della selezionare del curatore, ma quest’ultimo deve restare estraneo all’aspetto economico. Il curatore viene chiamato per mettere in campo la sua intelligenza artistica e architettonica, esclusivamente per sviluppare il tema. Spetta al British Council il management e la produzione della mostra"
Alastair Donald

Alastair Donald è il project manager del padiglione britannico allestito a Venezia per la Biennale Architettura 2014, è lui il direttore di progetto che per conto del British Council ha seguito tutte le fasi, dalla scelta del tema, alla promozione di un concorso per scegliere il curatore, alla gestione delle risorse (compresa la ricerca degli sponsor), fino alla pianificazione del programma Venice Fellowships organizzato con 16 scuole di architettura inglesi per coinvolgere una cinquantina di studenti e promuovere attività di formazione nella città della Bienale.

Alastair, il 5 giugno la mostra A Clockwork Jerusalem è stata ufficialmente inaugurata, ma quando avete iniziato il lavoro?
Circa 18 mesi prima dell’apertura della Mostra. Quando Koolhaas è stato scelto come direttore della Biennale 2014, ci siamo incontrati con lo studio OMA prima a Venezia e poi a Rotterdam per capire quale tema avrebbe voluto affrontare. Anche per noi è stata molto utile la nomina anticipata del direttore perché ci ha dato più tempo per lavorare: nella Biennale curata da Chipperfield avevamo avuto solo nove mesi.

Koolhaas ha suggerito a tutti i padiglioni nazionali di affrontare il tema Absorbing Modernity, avete aderito da subito all’invito?
Ci è sembrato da subito interessante e l’abbiamo seguito. A quel punto ci siamo chiesti come potevamo rispondere nel modo migliore a questa proposta e abbiamo organizzato un pranzo a Londra con una ventina di persone di diversi target per capire quale taglio dovevamo considerare. Il brainstorming è stato fondamentale perché da lì sono arrivate molte idee. Tra le altre, quella decisiva riguardava la necessità di distinguere ‘modernismo’ e ‘modernità’: non volevamo mettere in piedi un progetto che parlava di vecchi temi, piuttosto di posizionare l’architettura nel contesto della modernità, che è cosa diversa dal modernismo.

Dopo la fase di brainstorming, come avete scelto il curatore?
Gli spunti e le riflessioni nate dell’incontro con le tante personalità che avevamo coinvolto sono serviti per stilare un brief che abbiamo messo a base di una competizione. Abbiamo steso un documento con indicazioni molto precise e chiare: abbiamo settato al meglio i parametri per definire il perimetro entro il quale i candidati potevano articolare le proprie proposte.

Avete avuto molte adesioni in questa competizione, come siete riusciti a comunicarla con successo?
La Biennale è un evento internazionale importante e non è stato difficile avere l’attenzione di molti. Abbiamo utilizzato il sito del British Council, l’informazione è stata veicolata da altri siti web e sono arrivate in effetti 48 candidature.

Una call solo per architetti?
No, il brief era chiaro e si capiva bene che era importante coinvolgere ad esempio gli storici. Hanno aderito progettisti, curatori, ricercatori. Tra le 48 proposte c’era un’ampia varietà di soluzioni: alcune ovvie, altre non funzionavano anche se erano interessanti. Scremando, via via si è arrivati ad una short list di quattro gruppi.

E la giuria da chi era composta?
Da personalità di diverso background, artisti, curatori, storici, architetti, per poter analizzare le soluzioni da diversi punti di vista. C’era David Bickle (HawkinsBrown), Adrian Forty (Professor of Architectural History, the Bartlett School of Architecture, UCL), Edwin Heathcote (Architecture and Design Critic for the Financial Times), Philip Long (Director, V&A at Dundee), Irena Murray (Architectural Historian and Senior Research Fellow, Royal Institute of British Architects), Jane and Louise Wilson (artists). La giuria era presieduta da Vicky Richardson, Director of Architecture, Design, Fashion del British Council.

In Italia e in altri paesi il curatore del padiglione nazionale nei fatti deve adoperarsi anche per cercare gli sponsor che possono finanziare la mostra, è così anche per il Regno Unito?
No. Il British Council è proprietario del padiglione e si occupa di questa questione. Riceve una piccola parte di finanziamenti dal Governo e poi si occupa di cercare altri sponsor. Il British Council è in regia, è lui a selezionare il curatore ma quest’ultimo deve restare estraneo all’aspetto economico. Il curatore viene chiamato per mettere in campo la sua intelligenza artistica e architettonica, per sviluppare la mostra. Spetta al British Council il management e la produzione della mostra.

Quanto vi è costata l'operazione-padiglione?
Non saprei dare la cifra esatta ma il budget è fissato da anni intorno ai 100mila euro. A questa cifra si devono aggiungere comunque altre somme per la realizzazione dell’installazione, per la stampa e per la promozione degli eventi.

Tra le 48 candidature, per cosa vi hanno convinto FAT e Crimson?
Ci hanno presentato la migliore proposta, avevano assimilato il concetto di modernità e hanno risposto correttamente al suggerimento Absorbing Modernity, non si sono concentrati solo sull’ultimo secolo ma hanno ricercato le vere radici, quelle più profonde, andando oltre lo slogan un po’ commerciale 1914-2014.

Alastair, c'è un messaggio che secondo te può essere particolarmente interessante per il pubblico italiano?
La storia dell’Inghilterra è diversa da quella dell’Italia. Nel Regno Unito abbiamo avuto una rivoluzione, l’Italia è diventata una nazione nel scorso secolo. Oppure, in Inghilterra il modernismo è radicato nella storia mentre in Italia c’è stato il futurismo ed era forte l’idea di spezzare con il passato. È interessante saper cogliere queste differenze della storia attraverso una mostra di architettura.

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Tag: cultura
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