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Cittadini, designer, Comune, architetti partecipano a un grande dibattito che sta coinvolgendo tutti. D’Elia: «La cultura della pianificazione deve seguire strade aperte»

Riorganizzare spazi aperti e servizi, la ricetta di Milano post pandemica

di Francesca Fradelloni | pubblicato: 09/10/2020
«Mai come ora abbiamo necessità della creatività, di soluzioni non lineari per individuare risposte capaci di conciliare la sicurezza e il distanziamento sociale con i bisogni di socialità e convivialità delle persone e della fruizione di negozi e servizi»
Annibale D’Elia
Riorganizzare spazi aperti e servizi, la ricetta di Milano post pandemica
«Mai come ora abbiamo necessità della creatività, di soluzioni non lineari per individuare risposte capaci di conciliare la sicurezza e il distanziamento sociale con i bisogni di socialità e convivialità delle persone e della fruizione di negozi e servizi»
Annibale D’Elia

Milano colpita, trafitta dal virus, trasformata. La capitale produttiva del Paese ha dovuto riorganizzarsi, prepararsi al cambiamento radicale, soprattutto nello stile di vita dei cittadini. Riprogettare spazi aperti e servizi. Quali soluzioni per garantire la ripresa delle attività nel rispetto della necessità di distanziamento sociale? Tante le domande.

Milano ha voluto contribuire al dibattito nazionale, un dibattitto vivissimo che è stato ospitato nella sede degli Ordine degli Architetti della città la settimana scorsa. Tanti i contributi, idee e pensieri, come i progetti di architetti under35, coordinati da due studi di architettura: Parasite 2.0 e A4A.

«Abbiamo da subito creduto come amministrazione, che fosse nostro dovere, come prima grande città colpita da Covid 19 fuori dalla Cina, proporre soluzioni concrete per completare quelle globali», racconta Annibale D'Elia, direttore Innovazione economica e sostegno all'impresa del Comune di Milano. «La strategia è stata quella di trovare un piano di adattamento per intervenire in un contesto incerto e in continua evoluzione, pertanto doveva poter essere dinamica, identificando misure diverse a seconda degli scenari. Per questo abbiamo prodotto un documento, condiviso con i cittadini e i diretti interessati delle attività produttive, che si chiama “Milano 2020”».

Nuovi scenari davanti agli occhi: la vita si svolge all’aperto, c’è la distanza tra le persone. Veniamo dunque all’area di riferimento che più ci interessa, quella legata agli spazi. E qui entra in campo la progettazione.
Come cambia la pianificazione sotto pandemia? «Mai come ora abbiamo necessità della creatività, di soluzioni non lineari per individuare risposte capaci di conciliare la sicurezza e il distanziamento sociale con i bisogni di socialità e convivialità delle persone e della fruizione di negozi e servizi», precisa D’Elia. In questo nuovo modo di vedere la città la parola d’ordine è prossimità, vicinato. Ma anche collettività. La città e i suoi servizi a portata di mano. «Per questo ora la pianificazione ha senso solo se è fatta di variabili, chiamiamola progettazione aperta».

Un contributo è stato dato anche da chi, nella storia del design, ha stravolto le regole della progettazione come Clino Trini Castelli che Milano la conosce e la vive da sempre. Il designer italiano che più ha influito nel discorso sulla spazialità. Ha inventato l’identità emozionale dei prodotti, ha anticipato la domotica e persino le tecnologie del riciclo. Il pensiero del milanese Castelli rappresenta un fondamento del design contemporaneo e dell’idea di spazio. «Guardavo la segnaletica e pensavo alla metafisica minimalista. La vista della realtà per me doveva essere non intensiva, ma estensiva. Io sono un tracciatore delle periferie». Esperto degli aspetti figurativi più intangibili, come la materia e il colore, la luce e il suono, ha da sempre esaltato le virtù di un aspetto sensoriale del design. «Oggi – racconta Castelli – questa fase pandemica ci ha portato a prendere coscienza anche della nostra condizione identitaria difficile, basta pensare alla difficoltà di riconoscersi con le mascherine. Stiamo vivendo di grandi privazioni affettive, noi popolo abituato al tatto, alla vicinanza fisica, alle strette di mano, agli abbracci. Abbiamo il distanziamento dimezzato, una sedia sì e una no sul bus, e quello negoziato. È chiaro che parlare di spazio oggi, non solo è attuale, ma è fondamentale per ri-disegnare il nostro tempo».

Come racconta lo studio A4A, Nicoletta Savioni: «Occupare spazio, ma soprattutto occuparsi dello spazio». Anche con l’urbanistica tattica, gli spazi aperti. L’adeguamento dello spazio urbano può quindi costituire uno stimolo al rinnovamento urbano, lungimirante e dialogico cercando anche di appianare le disuguaglianze che nelle città nascono anche nell’assenza del “diritto allo spazio”.

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