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A Roma il Maxxi ospita il convegno “Leggere lo spazio” sull’educazione allo spazio costruito

Architettura per i bambini, un laboratorio di democrazia. Le esperienze internazionali

di Elena Pasquini | pubblicato: 28/01/2019
"Leggere lo spazio per imparare a conoscere ciò che ci circonda e, magari, progettarlo insieme"
Marta Morelli
Architettura per i bambini, un laboratorio di democrazia. Le esperienze internazionali
"Leggere lo spazio per imparare a conoscere ciò che ci circonda e, magari, progettarlo insieme"
Marta Morelli

Leggere lo spazio, esercitare lo spirito critico, costruire partecipazione e sperimentare la democrazia attraverso la progettualità del processo architettonico. 
Il convegno internazionale sull’educazione allo spazio costruito organizzato dal Maxxi il 25 gennaio 2019 ha messo in fila una interessante serie di esperienze nazionali e internazionali di attività e progetti immaginati per i bambini e diretti alle comunità. Fin dal titolo “Leggere lo spazio”, il richiamo è a un’attività che unisce il costruito e le persone che lo vivono; l’obiettivo è al cambiamento, anche nella comunicazione dell’architettura: si parte dal progetto, come ha ricordato la direttrice per l’architettura del Maxxi Margherita Guccione salutando le quasi 200 persone presenti in sala.

Osservare per pensare l’architettura, imparando a leggerne le forme e la loro interazione con lo spazio e la nostra stessa esistenza, chiedendosi se gli edifici sono fatti per l’anima o per l’utilità. A ricordarlo Luca Ribichini, presidente Commissione cultura della Casa dell’architettura di Roma che ha aperto una riflessione sulla bellezza nel costruito, sull’importanza di costruire reti sovranazionali e di valutare una nuova linea di ricerca, contestuale a quella sulla conoscenza degli strumenti per realizzare l’architettura: quella della valutazione dei processi architettonici nella formazione. 

Attenzione ai processi dietro al costruito. Un leit motiv che è rimasto sotteso in ciascuno dei “racconti” della giornata. Da Santiago Atrio Cerezo dell’Esquela en Arquitectura Educativa, Universidad Autónoma de Madrid (Spagna) - per cui bisogna imparare dall’architettura e non l’architettura, restando a stretto contatto con il processo costruttivo - a Francine Fort di Arc en rêve di Bordeaux (Francia) che ha ricordato come l’architettura sia familiare a ognuno di noi ma pone la sua realizzazione nelle mani di specialisti, rendendo difficile comunicare le conoscenze necessarie. Il lavoro da fare, quindi, «è culturale e non educativo/didattico ed è molto importante per la democrazia», ha sottolineato Francine Fort: è la scuola il punto di partenza, quindi, ma non il solo contesto nel quale confrontarci. 

«Il processo di creazione è esso stesso progetto educativo», ha ricordato Jorge Raedó dell’Associazione Osa Menor e Ludantiadi Bogotà (Colombia) facendo eco a quanto detto da Bénédicte Maerten Jérôme de Alzua di WAAO – Centre d’architecture et d’urbanisme a Lille (Francia): «Giocando è possibile progettare e scoprire forme diverse. L’obiettivo non è realizzare un’architettura ma lo scambio con il pubblico». La sperimentazione educativa passa attraverso i sensi, i laboratori mirano alla consapevolezza della tecnica e delle logiche della progettazione architettonica soprattutto contemporanea, da cui le visite ai cantieri e il lavoro con i collage; dell’immaginazione che permette di sviluppare edifici dalle forme atipiche in grado di celebrare le forme della città e, più in generale, l’architettura stessa.

Obiettivo collaborazione. La parola guida degli educatori per Jorge Raedó deve essere “utopia”, da inserire in una progettazione contestuale al target di riferimento come al luogo in cui si attiva il laboratorio: è solo con progetti specifici, infatti, che si creano dei network di persone con visioni e attività simili o complementari.

Gli esempi raccontati sono tutti legati tra loro dall’architettura come esercizio di partecipazione civica. I tre progetti di Open City a Londra, per esempio: “My city, your city, everybody’s city” di cui parla Sophie Draper specificando più volte l’importanza che i ragazzi si sentano coinvolti in ogni fase del progetto immaginato per loro, che le loro proposte abbiano un seguito e che l’approccio sia prospettico e in grado di costruire consapevolezza del ruolo di ciascuno.

Oppure l’esperienza di collaborazione tra ordine degli architetti di Bergamo e l’amministrazione comunale che ha dato vita al progetto “Architetti e Architette nelle classi” raccontato da Chiara Raffaini Maria Cristina Brembilla: dal 2016 le azioni del comune e del gruppo di professionisti e professioniste hanno coinvolto le scuole cittadine e portato i professionisti nelle aule, aiutando i bambini a trovare mezzi per esprimersi in mappe, cornici, tessuti, colori, cartelli stradali.

«Siamo educatrici museali soddisfatte se riusciamo a lavorare sul pensiero critico, come devono fare le arti contemporanee – riflette Marta Morelli, responsabile dell’ufficio educazione del Maxxi – Il nostro lavoro è centrato sulle persone, prima che sui contenuti, e il tentativo è di mostrare opportunità di domande per bambini e adulti che li accompagnano».

Learning by playing: il gaming collaborativo come strumento per la produzione sociale dello spazio urbano è il mantra di Sistema Lupo di cui ha parlato Fermìn Blanco in arrivo da A Coruña (Spagna). Blocchi, materiali, connettori e la possibilità di suggerire come cambiare il sistema stesso: si costruisce come in un puzzle 3D e si “distrugge” come i castelli sulla sabbia lasciando che l’esperienza della collaborazione nel processo di edificazione si stratifichi come momento positivo di scambio e confronto oltre che di apprendimento delle forme e delle regole costruttive.

Perimetri operativi, non modelli standard. Se è sempre più facile costruire un edificio piuttosto che una comunità, resta vero che esistono routine sperimentate per promuovere questo processo e fare in modo che tutti collaborino tra loro. La sfida della scuola di architettura per bambini a Favara, è un esempio di quella città aumentata che Maurizio Carta, professore dell’Università di Palermo, racconta alla platea. Città aumentate perché «in grado di amplificare potenzialità, talenti, relazioni senza perdere il contatto con la realtà - afferma Carta - Città aumentata come Favara» nella quale l’iniziativa di un privato ha permesso il proliferare di tante altre iniziative che trasformano lo spazio in un «laboratorio di sperimentazione potentissimo, anche nei materiali» al punto da far germogliare iniziative indipendenti dal Farm Cultural Park e permettere la nascita di SOU – School of architecture for children, un progetto sperimentale in continua evoluzione che sta diventando una “costola” della politica di rigenerazione urbana di Favara stessa.
Una «rivoluzione», come lo stesso Carta definisce i lavori presentati durante la giornata, attraverso la quale traslare «le azioni di trasformazione urbana in dividendo nella cultura, nell’educazione e nell’arte, dimostrando che sono settori trainanti quanto lo è stata l’edilizia». 

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Tag: città; cultura
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