Giulio Ceppi: "Non è una questione di stile, ma di sensibilità e attenzione"

#paroleinchiostro Cercasi cultura e consapevolezza per promuovere il design for all

di Paola Pierotti | pubblicato: 01/04/2017
"Gli architetti devono essere quei maghi con la bacchetta magica che trovano le giuste soluzioni: saranno loro a decidere se tutti potranno accedere o meno. Devono partire dal presupposto che non esistono standard e che in modo temporaneo o permanente tutti nella vita potranno avere modalità di fruizione diverse"
Lisa Noja
#paroleinchiostro Cercasi cultura e consapevolezza per promuovere il design for all
"Gli architetti devono essere quei maghi con la bacchetta magica che trovano le giuste soluzioni: saranno loro a decidere se tutti potranno accedere o meno. Devono partire dal presupposto che non esistono standard e che in modo temporaneo o permanente tutti nella vita potranno avere modalità di fruizione diverse"
Lisa Noja

“Senza parlare” è il titolo della piece teatrale che andrà in scena grazie al Centro Benedetta D’Intino Onlus nel teatro dell’istituto delle Orsoline a Milano. Appuntamento per lunedì sera, 3 aprile, prima giornata del fuorisalone 2017. Mezz’ora di immagini con uno spettacolo di luci, ombre e distorsioni sonore, per raccontare la condizione di chi non può parlare, ma ha un mondo interiore di pensieri, stati d’animo, desideri da condividere. Un’iniziativa sociale voluta da ArchAcademy e PPAN in occasione della seconda edizione di “In-chiostro creativo” e pensato, già dal 2016, come un format che integra comunicazione e networking, che prende spunto dal design, approfitta dei viandanti del fuorisalone, per informare e animare un dibattito su temi di attualità, per addetti ai lavori e non.

Focus sul design sociale nel 2017 con un’intervista a Giulio Ceppi, architetto fondatore di Total Tool, e a Alessandro Chiarato, direttore della Scuola di Design IED di Milano. “Il nostro Autogrill di Villoresi è una delle prime architetture certificate ‘per tutti’ – racconta Ceppi – abbiamo previsto parcheggi per donne incinte, spazi dedicati ai bambini, servizi al tavolo per chi non è in grado di utilizzare i vassoi, tutto è a quota di carrozzina per non avere barriere architettoniche e visive. C’è anche un’area per i cani”. Architettura per tutti, proprio tutti, senza parlare di disabilità specifiche, perché chiunque nell’arco della vita può diventare mamma con una carrozzina da spingere, o rompersi una gamba e dover camminare con un aiuto. È la vita: si nasce piccoli e si diventa anziani. Per Ceppi, parlare di “design for all non è una questione di stile, ma di sensibilità e attenzione”. Ceppi è anche uno dei promotori di Archidiversity che vede la partecipazione di 9 studi per altrettanti progetti, “modi di ragionare diversi con tipologie che variano dal supermercato al giardino, dall’aeroporto al ristorante. Abbiamo voluto sperimentare i criteri di inclusività – racconta – applicandoli nei progetti diffusi della città”.

Dalla grande alla piccola scala il design for all ha mille declinazioni. “Ecco che per Alessi ad esempio – aggiunge Ceppi – abbiamo collaborato con lo studio Obr per realizzare delle posate pensate per chi trema o ha un braccio rotto: non parliamo mai di oggetti specifici per chi ha un problema – ribadisce l’architetto milanese – ma di qualcosa che funziona per tutti”.

Niente ghetti. “E per andare in questa direzione bisogna promuovere una rinnovata cultura tra le giovani generazioni, spingendoli ad affrontare il tema in modo più ampio - ha commentato Chiarato -. Con i ragazzi dello Ied abbiamo applicato le competenze del designer per la progettazione di zaini per Emergency, per sistemi di coltura fuori terra a Chernobyl, stiamo investendo sul tema ‘zero rifiuti’: a 360 gradi andiamo ad intercettare quei temi dove il bisogno è manifesto e per i quali urge trovare una soluzione possibile. Ma è un lavoro impegnativo quello di trasferire ai più giovani il requisito dell’accessibilità”. Per Chiarato non si tratta di "fare assistenzialismo, ma di mettere al servizio degli altri le proprie competenze, sapendo analizzare i bisogni e investendo sul fatto che si può cambiare rotta". Il direttore dello Ied insiste sul tema della “coscienza” ricordando che il design italiano è nato come “for all”.

Parlando di design sociale, nello spazio di In-chiostro creativo, non può mancare Lisa Noja, delegata dal Sindaco di Milano alle Politiche per l’accessibilità. “Stiamo tentando di dare una svolta a Milano: grazie all’esigenza fortunata di doverci preparare per Expo 2015, la città ha dato una spinta importante per l’accessibilità, vincendo anche un premio europeo, per il quale nessun’altra città italiana si era nemmeno mai candidata”. L’avvocato Noja ricorda il lavoro fatto sul sistema dei trasporti e l’impegno per concretizzare un piano di abbattimento delle barriere architettoniche negli edifici pubblici. “Siamo molto impegnati, guardando al futuro, sul tema della valorizzazione degli Scali di Milano e delle stazioni della metropolitana, dove la Pa deve essere parte attiva con un costante controllo dei suoi tecnici e dei progettisti esterni".

"Consapevolezza" è il punto di partenza per il progettista. "Gli architetti devono essere quei maghi con la bacchetta magica che trovano le giuste soluzioni: saranno loro – dice Noja – a decidere se tutti potranno accedere o meno, che capiscono i bisogni infiniti del genere umano, partendo dal presupposto che non esistono standard e che in modo temporaneo o permanente tutti nella vita potranno avere modalità di fruizione diverse". Per Lisa Noja un progetto che soddisfa i bisogni di qualcuno, particolare, è più comodo per tutti; “le tecnologie – dice – oggi possono far fare cose bellissime”. Non solo app e domotica, l’avvocato ricorda “la sfida delle stampanti 3D che consentono di riprodurre gli stessi oggetti, con minime variazioni, in tempi rapidi e bassi costi”. È la mass customization, applicata al settore, per tutti. Si chiede: “Cosa ce ne facciamo della manifattura 4.0 se non per migliorare la qualità della vita delle persone?”.

Citando alcuni progetti ben riusciti Lisa Noja ricorda la piazza Gae Aulenti di Milano, “non sarebbe quella che è senza la rampa, accessibile e bella. Così anche il Millennium Bridge o la Tate di Londra: senza le rampe non sarebbe una città continua e fruibile da tutti. “I vincoli scatenano la creatività, non la uccidono”. E su questo concorda anche Emanuela Maggioni, neuropsichiatra infantile e direttore sanitario del Centro Benedetta D’Intino Onlus. “Ci occupiamo di bambini e giovani che hanno una grave disabilità comunicativa, li seguiamo attentamente e troviamo una modalità, a ciascuno la propria, per farli esprimere. Vero è che se l’ambiente e la città non comunicano con loro, il dialogo resta limitato a pochi interlocutori privilegiati”. L’esperienza del Centro - voluto quasi 15 anni fa dalle famiglie Mondadori, D’Intino e Formenton per ricordare Benedetta, mancata all’età di quindici mesi per una cardiopatia congenita - è singolare ed esplicativa di bisogni personali ed eccezionali che devono trovare una risposta nell’ambiente costruito, nella città. “Bastano delle immagini per scatenare la fantasia, libri tradotti con parole chiave, basta essere attenti ai bambini senza pensare di confrontarsi solo con l’adulto che li accompagna. Ci sono progetti interessanti – racconta Maggioni – di musei che hanno reso fruibile gli spazi e le opere d’arte con spiegazioni alternative alle classiche etichette o all’audio in cuffia. Il nostro compito, medico, resta quello di personalizzare le risposte, ma sarà davvero utile se camminando nelle città, attraverso l’uso delle immagini, si riuscirà a comunicare con un sempre più ampio numero di utenti”, non standard. Appuntamento a Milano per il 3 aprile 2017 all'Istituto Orsoline di San Carlo, in via Lanzone 53, dalle ore 18.45.

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Tag: città; cultura; salute
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