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Citterio, Cucinella, Asti: tre architetti, tre filosofie, tre visioni per il nuovo profilo del capoluogo lombardo

Grattacieli, le nuove sfide della professione per una Milano del futuro

di Chiara Brivio | pubblicato: 12/07/2021
«I valori estetici sono senza dubbio importanti, ma devono avere anche un contenuto ambientale.»
Mario Cucinella
Grattacieli, le nuove sfide della professione per una Milano del futuro
«I valori estetici sono senza dubbio importanti, ma devono avere anche un contenuto ambientale.»
Mario Cucinella

Pensati come macchine, edifici ibridi e in alcuni casi in continuità con il passato. I grattacieli hanno trasformato, talvolta mutato, anche in modo evidente, l’aspetto di interi quartieri di Milano. Sembra chiaro, insomma, che la spinta verso l’alto percorre come un fremito di contemporaneità della città meneghina. Antonio Citterio, Mario Cucinella, Paolo Asti: tre filosofie, ma tutti protagonisti del nuovo profilo del capoluogo lombardo. Lo skyliner della modernità è anche nelle loro mani. I tre professionisti, che sono intervenuti al convegno di Guamari dedicato ai tall buildings, hanno raccontato le loro visioni sugli edifici alti.

Lo studio Antonio Citterio Patricia Viel (ACPV) è in campo con due progetti: Gioia 20 per Coima e Torre Faro, nuova sede di A2A. Mario Cucinella Architects, invece, è alle prese con il nuovo centro direzionale di Unipol a Porta Nuova Gioia, in fase di completamento. Ancora, Asti Architetti si sta cimentando con il restauro dell’iconica Torre Velasca per conto di Hines Italia. Le sfide da affrontare? Dalla sostenibilità al mantenimento del ciclo di vita dell’opera, fino alle complessità architettoniche e strutturali.

Per Antonio Citterio, «le torri vanno sempre di più pensate come macchine» alle quali va rivolto un ragionamento particolare sul ciclo di vita, per esempio pensando che le facciate di oggi costruite con soluzioni tecnologiche all’avanguardia, tra 20 anni potranno più non essere tali. Non solo, la sfida riguarda soprattutto anche il modo in cui si fa architettura: «la cosa interessante dei progetti dei grattacieli, per noi architetti, è legata alla loro complessità, tale da richiedere un team interdisciplinare. Non è più possibile pensare a realizzare dei grattacieli nel tuo studio, la progettazione è così complessa che il nostro lavoro avviene su più tavoli – aggiunge –. Credo che questo rappresenti uno dei grandi cambiamenti della nostra professione di architetto: la capacità di collaborare con discipline fortemente specializzate, dove il team work diventa fondamentale». E ACPV non solo sta progettando i 145 metri della torre di A2A, ma si sta cimentando anche con i 250 metri della Sky Tower di Taipei, una zona altamente sismica, dove le competenze richieste sono ancora maggiori.

In linea anche il parere di Mario Cucinella. «Siamo in un momento trasversale interessante, dove la dimensione artigianale dello studio si unisce agli elementi digitali, a una nuova generazione di “strumenti” portati dai più giovani. E l’ufficio non è più solo un uomo al comando – racconta l’architetto bolognese – ma è un’intelligenza collettiva che deve affrontare progetti sempre più complessi che necessitano di capacità di elevazione del team. Questo è un momento interessante in cui ci si pone un problema non solo di architettura, ma anche di processi. Per questo si tratterà sempre più di edifici ibridi». Importanti gli investimenti quindi in ricerca e sviluppo, soprattutto nel campo della sostenibilità, della quale l’architetto ha fatto la sua cifra, e che trovano concreta realizzazione nella progettazione della sede di Unipol. La forma ellittica della pianta dell’edificio, lo svuotamento del lato a sud, la doppia pelle, l’atrio vuoto che si apre sui 17 piani, progettato come moderatore climatico in estate e inverno. Una grande serra volutamente non climatizzata e non ventilata, «dove probabilmente ci saranno 18 gradi in inverno e in estate forse 26-27, ma che trasmette l’idea di adattarsi alle condizioni climatiche, oltre ad avere un enorme impatto sui costi energetici». «I valori estetici sono senza dubbio importanti – aggiunge, concludendo –, ma devono avere anche un contenuto ambientale. È una favola quella per cui gli edifici hanno impatto zero, possiamo solo costruire meglio e fare meglio».

Diverso il discorso per Paolo Asti, fondatore di Asti Architetti, impegnato in un vero e proprio restauro della Torre Velasca, costruita tra 1955 e il 1957 su progetto dello Studio Bbpr e acquistata da Hines un paio d’anni fa. Un edificio simbolo del capoluogo lombardo e del Moderno milanese, per un intervento sul preesistente radicalmente diverso dagli altri per tecnica e architettura, ma non nell’obiettivo di raggiungere sostenibilità ed efficienza energetica. «La progettazione deve tenere conto del fatto che le facciate possano e devono cambiare dopo un certo numero di anni – ha detto Asti –. Un edificio deve cambiare, ma in presenza di un vincolo monumentale come quello della Torre Velasca, portarlo in classe A è complicato». Apparentemente proficuo, tuttavia, sembra essere il rapporto con la Sovrintendenza, che permetterà un restauro materico e tipologico dell’edificio, a partire dalla facciata che «in parte riprenderà quel tono di rosa che cambia in base alle ore della giornata, abbiamo infatti raggiunto il punto giusto di colore e mescola». Un intervento che passerà per recupero e asportazione insieme, ma con un unico obiettivo, mantenere «lo spirito che animò Bbpr, per cercare di riproporre le caratteristiche originarie» ha spiegato Asti, adattandole però alle esigenze di oggi. Due anni e mezzo l’obiettivo per la consegna, per un’architettura con certificazione Leed e classe energetica A.

Immagine di copertina: Torre Faro render ©ACPV

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Tag: città; masterplanning
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