Oggetto della contestazione un emendamento all’art 10 del Dl Semplificazioni

Città ibernate e consegnate al passato. Architetti, costruttori e ambientalisti in rivolta

di Francesco Fantera | pubblicato: 10/09/2020
«Invece di semplificare e avviare un grande piano di sostituzione edilizia e di rigenerazione di zone degradate dei nostri centri urbani, si stanno riproponendo visioni retrograde e conservatrici»
Ance-Legambiente
Città ibernate e consegnate al passato. Architetti, costruttori e ambientalisti in rivolta
«Invece di semplificare e avviare un grande piano di sostituzione edilizia e di rigenerazione di zone degradate dei nostri centri urbani, si stanno riproponendo visioni retrograde e conservatrici»
Ance-Legambiente

A poche ore dalla votazione finale sul Dl semplificazioni, fissata per il 10 settembre presso la Camera dei Deputati, rimangono inascoltati professionisti, costruttori, imprese e ambientalisti, allarmati dagli effetti che questa ennesima modifica legislativa potrebbe portare al processo di rinnovamento del tessuto urbano. La pietra dello scandalo? La modifica dell’articolo 10 del decreto che, secondo Ance, Legambiente, In/Arch e numerosi Ordini degli architetti locali come Torino, Palermo, Roma e Milano, solo per citarne alcuni, pone importanti vincoli alla rigenerazione urbana dei centri storici mentre, contestualmente, cadono diversi paletti per la ristrutturazione degli stadi. Una levata di scudi che non sorprende per la partecipazione in prima linea del mondo dell’edilizia, fortemente contrario alla eccessiva normazione sul tema. A stupire, infatti, è la presenza dalla stessa parte della barricata di soggetti non sempre allineati sulla questione dello sviluppo urbano, come Ance e Legambiente, che in questo caso sono arrivati a stilare un comunicato congiunto.

La norma. Oggetto del contendere è un emendamento proposto dalla senatrice Loredana De Petris (Leu) che ha inserito delle modifiche al testo originale, approvato poi dalla commissione Affari costituzionali e Lavori pubblici del Senato. L’articolo 10 era stato pensato per accelerare gli interventi di edilizia privata e ricostruzione nei centri urbani. Nel testo poi approvato dal Senato lo scorso 4 settembre però, si trovano diversi nuovi vincoli che hanno suscitato un coro di dissenso. Il più importante è rappresentato dai limiti alla rigenerazione urbana nelle zone definite “omogenee A” (DM 1444/1968), nei centri e nei nuclei storici consolidati e negli ambiti di particolare pregio storico e architettonico.

Per poter avviare un’operazione di rinnovamento che preveda la demolizione e successiva ricostruzione, quindi, sarà necessario rispettare i piani urbanistici di recupero e riqualificazione particolareggiati di competenza del Comune. Questo causerà un allungamento dei tempi in quanto sarà necessario un permesso di costruire (e non più una “Segnalazione Certificata di Inizio Attività”), oltre al parere della Soprintendenza. E questo nonostante non si parli solo di immobili di pregio. Per quanto riguarda le restanti aree urbane, invece, lo stesso testo stabilisce una serie di modifiche al TU edilizia, con le quali sostanzialmente si sancisce il via libera a interventi di demolizione e ricostruzione attraverso la deroga a diverse norme vigenti.

Costruttori e ambientalisti. «Il decreto che uscirà dal Parlamento rischia di bloccare le città invece di puntare sulla rigenerazione». Non usano mezzi termini Ance e Legambiente nel proprio comunicato congiunto di commento alle «preoccupanti le modifiche al Dl Semplificazioni che il Senato sta votando». Edoardo Zanchini (vicepresidente Legambiente) e Gabriele Buia (presidente Ance) sottolineano poi come «invece di semplificare e avviare un grande piano di sostituzione edilizia e di rigenerazione di zone degradate dei nostri centri urbani, si stanno riproponendo visioni retrograde e conservatrici che non tengono conto dei reali mutamenti e dei bisogni sociali ai quali occorre dare una risposta adeguata, nel rispetto del patrimonio storico-artistico e dell’ambiente».

Architetti. Altrettanto negativa la nota prodotta dai presidenti degli Ordini degli Architetti di Bologna, Catania, Como, Palermo, Reggio Calabria, Salerno, Sassari, Torino, Roma e Viterbo. A questi si è successivamente unito anche l’Ordine di Milano che ha evidenziato che con questa norma «la realizzazione della fondazione Feltrinelli progettata da Herzog & de Meuron, non sarebbe stata possibile». Nel testo congiunto i professionisti prendono posizione rispetto alla stretta sulla rigenerazione urbana stabilita dal Dl Semplificazioni. «Conoscere per deliberare, questo è l’insegnamento che Luigi Einaudi ha consegnato all’attività parlamentare: quest’insegnamento risulta evidentemente disatteso» lamentano i presidenti degli Ordini. «L’art.10 del DL 76/2020 denota infatti la totale mancanza di conoscenza della materia che si vuole riformare. Le città italiane verranno ibernate e consegnate al passato. Città che non potranno evolvere ed essere al passo con le esigenze dei tempi – si legge nel comunicato – con i servizi in continua evoluzione per i cittadini. Mai finora si era arrivati a tanto».

Le voci. Fra i primi a lanciare l’allarme attraverso la propria pagina Facebook è stato Francesco Orofino, segretario nazionale dell’In/Arch che ha affidato il proprio pensiero ad un lungo post sulla piattaforma social, a cui è seguito un comunicato dell’istituto. «L’emendamento (all’art 10 del Dl Semplificazioni ndr) stabilisce che in tutte le zone A si può demolire e ricostruire solo se esiste un piano di recupero e riqualificazione. Inoltre, nelle zone A questo processo potrà essere considerato “ristrutturazione edilizia” solo se si ricostruisce con la stessa sagoma, sedime, planivolumetria, prospetti e caratteristiche tipologiche. Considerando che nella maggior parte dei casi in zona A non è consentita la nuova costruzione, questo – prosegue Orofino – significa che si può operare solo secondo il più bieco “com’era e dov’era”». Un pensiero rilanciato dall’In/Arch che in una nota ha evidenziato come «il provvedimento legislativo sia frutto di una posizione ideologica, dannosa e contraria a qualsiasi forma di innovazione».

Altro tassello fondamentale del comparto edilizio deluso dalla forma che ha preso il decreto dopo il passaggio in commissione Affari costituzionali e Lavori pubblici del Senato è il mondo del real estate. Fra le voci di dissenso anche quella di Francesco Percassi, presidente di Costim, holding nata nel 2019. «Concordo pienamente con la posizione espressa da Ance: crediamo nella necessità di strumenti agili e flessibili per poter intervenire rapidamente nei processi di rinascita e riqualificazione. L’industria immobiliare è il propellente più adatto per trasformare l’economia italiana puntando sul rinnovamento del patrimonio esistente e sullo sviluppo di nuovi progetti innescati da un auspicabile patto sociale, finanziario e industriale che promuova la qualità del vivere e dell’abitare».

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Tag: città; spazi pubblici
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