Pedonalizzazione, no alla monofunzionalità e servizi. Plus da estendere anche in periferia

Barcellona, Parigi e Copenhagen, la ricetta della città in 15 minuti

di Francesca Fradelloni | pubblicato: 20/11/2020
«Abbiamo imparato tanto in questi anni ma alcuni nodi principali sono da tenere a mente: la prima cosa è che la prossimità arriva se la morfologia è compatta. Il secondo elemento è la complessità, tutti partecipano: le associazioni, le istituzioni, i cittadini»
Salvador Rueda
Barcellona, Parigi e Copenhagen, la ricetta della città in 15 minuti
«Abbiamo imparato tanto in questi anni ma alcuni nodi principali sono da tenere a mente: la prima cosa è che la prossimità arriva se la morfologia è compatta. Il secondo elemento è la complessità, tutti partecipano: le associazioni, le istituzioni, i cittadini»
Salvador Rueda

Potremmo chiamarlo il diritto alla città. «Portare nelle periferie quello che viviamo nel tessuto urbano centrale consolidato», la spiega così in poche parole, Giordana Ferri della Fondazione housing sociale, cosa significa “città in 15 minuti”. Una città che si offre come una piattaforma in cui tutto ciò che serve e tutto ciò che si deve fare quotidianamente sta a pochi minuti a piedi da dove si abita. A tutti gli effetti, un territorio da abitare a portata di mano, a un “tiro di schioppo”. Una visione dell’abitare contemporaneo basato su una nuova idea di prossimità (come emerso da più voci) e dei valori che essa può portare con sé. 

«Un progetto difficile per alcune città che ancora vivono e sono progettate con la loro mono-funzionalità», spiega la Ferri. Come è possibile realizzarla, cosa significa abitarci, ne hanno parlato professori universitari, urbanisti (italiani e stranieri) e amministratori. In un incontro “Città e prossimità” nell’ambito di Urbanpromo 2020, la manifestazione organizzata dall'Istituto Nazionale di Urbanistica e da Urbit. Tra esperti e amministratori si è cercato di indagare quali sono le capacità di governo e di progettazione che si rendono necessarie per il loro sviluppo. 

A confronto alcune città europee dove le esperienze di innovazione sociale e urbana, su cui la proposta della città dei 15 minuti si basa, sono state particolarmente rilevanti: Barcellona, Copenaghen e Parigi. 
Oggi, la catastrofe del Covid19 ci sta insegnando che la resilienza sociale e la rigenerazione urbana vanno costruite a partire da una nuova idea del vivere gli spazi urbani. “La città dei 15 minuti” si costruisce collegando a scala locale diversi programmi. Quelli attinenti gli asili, le scuole e i centri di assistenza sociosanitaria, prima di tutto. E poi: il verde, la dotazione di spazi pubblici e la mobilità. Ma anche le opportunità di lavoro: sia quelle portate dalla ridistribuzione territoriale del lavoro online, sia quelle prodotte dalla rivitalizzazione di attività artigianali e industriali tradizionali che ancora esistono nella città, e dalla loro integrazione con le emergenti esperienze dell’artigianato digitale.

«Un confronto tra città molto diverse, ma se facciamo tre passi indietro ci troviamo davanti a delle città europee. Hanno delle cose in comune, ci sembrano più vivibili di altre. Non sono città poi così messe male, infatti questa è una delle obiezioni che si fanno alla “città dei 15 minuti”, non guardando la città nel suo insieme. Ed è un errore. Il tema si basa su una visione di tutta l’area urbana e non di sue parti. Questo è il senso», spiega Ezio Manzini, fondatore di DESIS Lab, honorary professor al Politecnico di Milano, chair professor alla University of the Arts London e guest professor alla Tongji University (Shanghai) e alla Jiangnan University (Wuxi). Ci sono città che hanno preso una strada precisa: Barcellona e Parigi, per esempio. 

Quindi cambia tanto quando la politica se ne prende la responsabilità. E Manzini si chiede, allora «quali possano essere le mosse da fare? Che cosa si fa per primo? Cosa si fa dopo?». E per fare le cose ci vogliono le persone, le istituzioni, come si sono uniti “i pezzi”? A rispondere subito Salvador Rueda, dell’Agència d’Ecologia Urbana di Barcellona, ideatore nel lontano 1987 delle “superillas”, superblocchi. Rueda ha immaginato una città non più dominata dalle automobili, ma da spazi pubblici usati da pedoni e ciclisti e organizzati attorno a isolati. 
«Abbiamo imparato tanto in questi anni – racconta – ma alcuni nodi principali sono da tenere a mente: la prima cosa è che la prossimità arriva se la morfologia è compatta. Il secondo elemento è la complessità, tutti partecipano: le associazioni, le istituzioni, i cittadini. Per fare questo si è pensato come calcolare la complessità, la diversità. Abbiamo sviluppato un dizionario per leggere la città. Per esempio, a Barcellona in cinque minuti si è davanti a sei servizi e attività primarie (salute, cultura, servizi, scuola, sport). Una nuova centralità per isola, una nuova centralità del cittadino. A Poblenou, quartiere di Barcellona, abbiamo incrementato le attività al 30% dal 2016 al 2018. E l’economia è cresciuta. Le super isole quindi dimostrano che funzionano anche come sistema di mercato. Quindi ai servizi pubblici bisogna aggiungere quelli privati, diventa davvero una città “facilitata” in tutte le sue micro-zone», racconta. «Nel caso di Barcellona possiamo parlare della città di 8 minuti con un trasporto pubblico efficiente e compatto. Sette milioni di metri quadrati liberati e spazio ai pedoni».

Una prossimità in cui la residenza privata si collega in modo fluido e continuo con lo spazio pubblico e con una molteplicità di attività e servizi. Il vicinato è aperto sull’intera città e sul mondo; in cui la quotidianità può essere coerente con i valori e le pratiche che la crisi ambientale e sociale richiedono di adottare. Le persone sono protagoniste. I cittadini sono il centro della visione urbana e non più le auto. Le città diventano luoghi in cui i diritti dei cittadini si possono sviluppare. Dove trionfano l’ozio, l’intrattenimento, l’interscambio, la democrazia, la cultura e il mercato. 

Tra gli ospiti di Urbanpromo anche Birgitte Bundesen Svarre, direttora dell’agenzia Gehl Architects di Copenhagen, che ha avuto un ruolo importantissimo nel capoluogo della Danimarca per creare una maggior vivibilità in città. Molto di quello che si vede a Copenaghen non è un regalo di madre natura, ma è stato pensato e progettato. Anche grazie a Gehl Architects. «La densità e la prossimità non è in contrasto – racconta – anzi proprio se siamo in una società densa, anche in questo periodo di emergenza, si può vivere meglio in una “città dei 15 minuti”»

E poi c’è Parigi. La sua sindaca ha vinto le elezioni con la sua idea di città intelligente e light. «Riducendo il tempo impiegato dai cittadini per spostarsi in città ogni giorno e riducendo lo spazio – gratuito – destinato alle automobili, si ottiene una città più respirabile e più vivibile», racconta Carlos Moreno, docente dell’Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne. 
Già da diversi anni, in quanto sindaca di Parigi, Anne Hidalgo ha attuato tramite il suo “Plan Vélo” delle misure di miglioramento della città, tra cui la creazione di più di 1.000 chilometri di piste ciclabili e incentivi per l’acquisto di biciclette elettriche. Con questo programma, però, l’obiettivo è ancora più ambizioso: diventare una delle capitali ciclabili d’Europa, con il 100% di piste/strade ciclabili in tutta la città, entro il 2024. Che la qualità della vita, come dice Manzini, sia fatta da densità e complessità è stato il filo conduttore dell’incontro. E poi un concetto “forte”: nessun metro quadrato deve avere un unico uso, ripete di continuo Carlos Moreno. 

E Milano? Qual è la sua visione coraggiosa? Ma soprattutto esiste una proposta di insieme? «Noi siamo stati i pochi a pensare che un evento come l’Expo potesse essere, per la nostra città, un punto di partenza, un grande cambiamento», ha raccontato l’assessore a Urbanistica, Agricoltura e Verde a Milano, Pier Francesco Maran. «Abbiamo sviluppato un’idea: i luoghi della città devono avere più funzioni, più usi. Abbiamo attivato spazi collettivi, di comunità. E poi abbiamo capito che bisognava avere anche degli alleati sociali. Per esempio, la “piazza della scuola” è stata progettata pensando alle famiglie e ai più piccoli. Strade aperte, piazze aperte: dal 2018 al 2020 siamo passati dalla sperimentazione a una strategia. Nel 2019 abbiamo trasformato 15 piazze, nel 2020, 15 in sei mesi. Cioè un sistema che ci consente di cambiare e trasformare una ventina di piazze l’anno. E poi le piste ciclabili: 35 chilometri di itinerari, con l’asse Buenos Aires e viale Monza: per la prima volta a Milano è diventata ciclabile una dorsale di penetrazione. Ora la politica ha anche altri obiettivi, dare valori e valore al tempo, al sistema urbano. È una fase storica e dobbiamo aprirci al territorio dei 30 chilometri, è lì che dobbiamo lavorare e migliorare i trasporti, i servizi. È lì, è fuori che dobbiamo guardare, ai quartieri popolari, alle periferie». Il futuro è la cerniera con chi si sente “fuori”.

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Tag: città
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