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I dati del rapporto BMI Group – The Architect Effect

Architetti attenti al ciclo di vita dell’opera, ma serve più complicità con la committenza

di Chiara Castellani | pubblicato: 09/08/2020
La scarsa possibilità decisionale incide significativamente sull’intero processo costruttivo, sul dialogo con la manifattura e sull’investimento congiunto in termini di ricerca e sviluppo. 
Architetti attenti al ciclo di vita dell’opera, ma serve più complicità con la committenza
La scarsa possibilità decisionale incide significativamente sull’intero processo costruttivo, sul dialogo con la manifattura e sull’investimento congiunto in termini di ricerca e sviluppo. 

Una recente ricerca condotta da BMI Group– The Architect Effect– su un panel di 1.850 architetti dislocati tra Europa e Asia, indaga il ruolo dell’architetto nelle dinamiche progettuali odierne, analizzandone i vuoti informativi da colmare nel processo di realizzazione e il rapporto con l’innovazione e la sostenibilità. Le domande si sono concentrate sul ruolo dell’architetto oggi e su quali siano le opportunità da cogliere per aumentarne l’influenza e la cosiddetta reputation
 

Stando ai risultati, meno di un quarto degli architetti, ha affermato di avere “totale libertà” nella scelta di nuovi materiali e delle tecnologie e soluzioni da adottare quando si passa dalla carta al cantiere. Da segnalare che 1 su 5 dichiara di non avere “alcuna libertà” in merito. Dati che evidenziano come risulti fortemente ridotta l’autonomia nell’ambito del confronto con i committenti, dove la scarsa possibilità decisionale incide significativamente sull’intero processo costruttivo, sul dialogo con la manifattura e sull’investimento congiunto in termini di ricerca e sviluppo. 

Dall’indagine risultano tre aree su cui concentrarsi, veri e propri gap del settore, lavorando sui quali si può rimettere al centro la figura dell’architetto, soprattutto in questa fase in cui il mondo si confronta con le necessità post Covid-19 e con un’edilizia a prova di futuro. 

Tra le principali lacune, una è la mancata collaborazione con la committenza, seguita dal così detto “vuoto informativo”: infatti un terzo dei professionisti dichiara che la mancanza di referenze di qualità sia la principale barriera nell’individuare e proporre nuove tecnologie costruttive nei propri progetti. Terzo elemento è il “gap d’innovazione”: nonostante sia stato dato notevole risalto alle soluzioni più moderne, dalla cultura normativa e progettuale, la ricerca di Bmi Group ha dimostrato nel concreto che ad oggi l’adozione di questi strumenti è sorprendentemente bassa. I risultati dicono che il 51% degli architetti non utilizza tecnologie o processi innovativi – come ad esempio la stampa 3D o la modellazione BIM (Building Information Modeling) – che potrebbero invece offrire all’utente una posizione più influente all’interno di un progetto complesso. 

In mancanza di ciò, un minor ascendente rende più difficile affrontare due delle principali sfide odierne dell’edilizia: la sostenibilità e l’adattabilità. Stando a The Architect Effect, il 77% dei professionisti è concorde sul fatto che la prima sia oggi molto più importante per l’architettura rispetto a dieci anni fa. Si tratta ormai di un aspetto decisivo per la misurazione del valore di un progetto, visto anche che il 72% degli intervistati dichiara che il committente sia già orientato in partenza a chiedere l’utilizzo di materiali a basso impatto ambientale. Di particolare interesse è l’esplorazione delle soluzioni di copertura. La scelta dei materiali è fondamentale per garantire sostenibilità e adattabilità in un lavoro di edilizia moderna e 1 professionista su 4 è orientato ai tetti che aumentano la biodiversità e lo spazio verde. 

 

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